Prodotti & Pensieri


Oggi parliamo di...

Pecorino erborinato con Antonello Sanna


Oggi si parla di muffe. L’argomento vi stuzzicherà… Il pecorino erborinato è un viaggio nel gusto che dovete concedervi. L’ho conosciuto di recente, me lo ha presentato Antonello Sanna (azienda di Lajatico). 
Si porta in tavola a tutto pasto oppure, questo è il consiglio di Antonello, fatto a cubetti, saltati in olio extravergine d’oliva, per condire la nostra pasta. Il pecorino erborinato ha un gusto davvero particolare, appetitoso, la pasta è cremosa e invogliante, la lavorazione è lunga e complessa. Sanna nella sua azienda utilizza latte crudo, solo lo yogurt viene preparato con latte pastorizzato. La produzione di formaggi è artigianale, la lavorazione avviene con latte proveniente da ovini del proprio allevamento. L’azienda produce vari tipi di pecorino: quello fresco (al naturale, pepato, sotto cenere, sott’olio, con buccia di menta selvatica) e quello stagionato, lavorato a mano e pressato. Poi c’è l’erborinato... 
Eccoci al dunque. Come si procede? Si parte dal latte crudo e si porta alla temperatura di 36° C. A questo punto si inoculano i fermenti lattici (penicillium roqueforti) e si tiene il tutto in leggera agitazione per 30/40 minuti. Una volta controllata la temperatura (deve essere a 38° C) si aggiunge il caglio di vitello. Si fa coagulare per 40 minuti (siamo al punto giusto quando, appoggiando il dorso della mano, il cagliato è visibile). Con un coltello a lama lunga si taglia la pasta in quadrati (di 10/15 cm) e si aspetta per 5/10 minuti. Dai tagli affiorerà il siero. 
Siamo giunti al processo di spurgatura. Con il frangicagliata si rompe la cagliata. Si riaccende il fuoco, per alzare la temperatura di 2/3 gradi, quelli persi durante il primo processo di lavorazione e si lascia andare per 2/3 minuti. La cagliata, alla fine, dovrà risultare della dimensione di un’oliva. Si spegne e si inizia con il processo di formatura: si toglie la cagliata dal pentolone con una forma e si versa il contenuto in altre forme, lasciandole su di un piano inclinato (per farle scolare). Dopo circa dieci minuti avviene la prima voltatura, per la seconda e la terza si procede a intervalli di 20 minuti. 
Il formaggio viene poi sistemato in un locale caldo per 24 ore. (Il siero rimasto dalla colatura e nel pentolone sarà usato per preparare la ricotta). Poi arriva la fase della salatura a secco, con sale grosso. Il pecorino va quindi in frigo, a 5° C per 5 giorni, poi a 8° per 15-20 giorni. 
Ecco che siamo alla prima foratura (Sanna utilizza uno spiedo). Il formaggio viene lasciato nella stessa posizione per venti giorni, poi si rivolta e si fa la seconda foratura e si lascia così, per altri venti giorni, facendolo respirare. Si rivolta ancora, più volte. A 120/150 giorni il prodotto è pronto. 
Il pecorino sarà immagazzinato a 8/10° gradi per il resto della 'esistenza'.
La lunga lavorazione è necessaria per la formazione delle muffe. Non siete curiosi di assaggiare questa specialità? Provatela e fatemi sapere… 


Torta co' bischeri


Sul territorio pisano la torta co' bischeri si prepara in alcune zone nel periodo primaverile: a Vecchiano, per la festa di primavera; a Pontasserchio, per la ricorrenza del patrono del 28 aprile. Il dolce è nato nella Val di Serchio. Le origini sono legate alla festa del Santissimo Crocifisso. 
L'involucro è di pasta frolla e nel ripieno ci sono tanti ghiotti ingredienti: tra questi il cioccolato, il riso, i canditi, i pinoli, l'uvetta. Esiste la un marchio registrato (di proprietà dei Comuni di San Giuliano Terme e di Vecchiano, in provincia di Pisa) e la ricetta casalinga della tradizione. 
Un tempo la torta co' bischeri si preparava in famiglia e si cuoceva nei forni a legna in teglie di bandone, spesso personalizzate con le proprie iniziali. 
Cosa sono i bischeri? Al di là del termine scherzoso, usato come sinonimo di stupido, il bischero della torta è la punta della frolla, che si ottiene tagliando e ripiegando a forma di triangolo l'impasto che fuorisce dalla teglia. L'origine della parola, per il dolce, per alcuni fa riferimento alla forma della chiavetta degli strumenti musicali a corda.
Di questa ricetta golosa racconta Alessandro Ciardelli, in un testo dal sapore tutto pisano...
E' un dolce che la mondo lo trovi soltanto in questa splendida zona, ma non è molto fine, non è signorile, nè da serate di gala ma... che sapore sincero di naturali ingredienti, per tutti basti pensare ai canditi, che nel ripieno stanno, fatti in casa e con amor preparati per queta torta. 
Tutti voi la conoscete, è fatta di due parti: l'una, nella quale domina la cioccolata, l'altra dove la pasta frolla la fa da padrona: infatti questo è l'involucro e il ripieno è tutto il resto.
Quando l'assaggi, sapori e profumi ti avvolgono con sensazioni piacevoli per il palato ed il primo morso in genere va sul ripieno, perchè sempre a spicchi si mangia tenendo i bischeri in mano, perchè in mano si serve, porgendo alla bocca quel soffice impasto soave che tutto ti prende.
Chiudi gli occhi e assapora quel gusto da tanti ingredienti formato, considera il riso nel latte ben cotto ed unito ai canditi, pinoli, cioccolato fondente, vaniglia e chi più ne ha più ne metta, liquore compreso e assaggia di nuovo ed esplora in quel gusto l'amore delle mani che l'hanno impastata e ringrazia chi, chissà quando, sposò tra loro questi ingredienti. 
E' davvero sublime!
Ed i bischeri?
I bischeri, senza offender nessuno, sono coloro a cui questo dolce non piace.
Voi non lo siete davvero!


Forza Buo passa le cee di Fabiano Corsini


Quest’anno di cee ne son passate davvero tante . Che le cee “enno buone” o almeno che i pisani ne siano fieramente convinti lo declamava già il Fucini. Afo Sartori rievoca  i tratti sociali e culturali della umanità che andava per cee, e finisce per dipingere una condizione antropologica, un substrato di “competenze”archetipiche che del pescatore di cee fannoun pezzettino di una più grande unità universale, capace di respirare con il fluire delle stagioni, il cangiare del colore d’Arno, con l’odore della golena intrecciato con quello dell’acqua smossa, perfino con il suo rumore. Nessuno mai parla di “andare a pescare” le cee, nota Afo: le cee si va a vedere se passano. Dire “pescare” sarebbe troppo impegnativo e non va detto, come non si nominano i malacci.
Vietatissime le cee. I Gatti Mezzi fanno gustare l’epopea proletaria, la miscela dell’operaio di sangobè che lavora al caldo e al coperto, e la condanna  al freddo e all’umido di gennaio per l’animo anarchico per chi non ha il posto fisso. Ma perché la cee non passano d’agosto? E perché son proibite? Godetevi su you tube i video del Gallaccio di Riglione, gli ultimi accenti di una sapiente ignoranza popolana, condita di sfottò e di rimandi a  Weltanschauung  che siamo propensi a credere morte e sepolte, e poi arrivi alle elezioni e ti accorgi che sono di più loro di noi.
A gennaio è cominciato il tam tam. Prima rumori lontani, perché arrivava la notiza che Poldo  aveva cominciato a prenderle, con le fascine. Poi capita che a Boccadarno vedi una ripaiola incautamente lasciata li, ad aggiustare. E la sera sulla golena, il buio è pesto ma se si potesse vedere… ora è tutto un lavorio; chi ha il barchetto lo mette a furbo per prendere più agio. Non si fanno più quella specie di pennelli, con le pietre ammucchiateverso il fiume, per poi fare lo struscio a forza ; chi non ha il barchetto si piazza con la ripaiola tra le gambe.
Il rumore intanto si è fatto forte, delle cee che passano si ragiona ormai nelle pescherie, al circolo, dal macellaio. Le cee prese a Boccadarno son le meglio. Quando arrivano a Pisa, già si vede il righino nero, si avviano a diventare cannaiole, si imparentano col fiume come le cheppie. Queste invece son delicate, profumano di mare. Ma di questi pescatori sono pochi quelli che hanno l’animo perduto della ripaiola, il pudore e il sentire di quel tempo.  Questi  chiacchierano, si vantano di vendere a duecentocinquanta euro al chilo,  fanno anche i nomi di chi compra: primari e commercialisti.
I vecchi marinesi fanno capannello attorno a una zuppiera di plastica con un testo tenuto a forza sopra e si disperdono furtivi appena si avvicina qualcuno che si conosce poco. Le cee, proibitissime, l’antistato, il vitale che sopravvive, la prova provata che a noi ci posson fare le peggio cose, ma un piatto di cee alla sarvia ci rimette al mondo. I saggi pisani svelano con paziente autorevolezza le loro ricette per le cee. Come fece Enzo Carli, come fa il cuoco di “Gino”, a Marina, che dopo aver raccontato , e davvero, tutti i segreti, ci avvisa che le cee son proibite e che quella è solo letteratura. E io chiudo, con un appello ai fratelli di livorno. La vostra cucina è anche buona, il pomodoro, anzi, la conserva nel cacciucco è la su morte. Ma le cee, lasciatele stare. La conserva nelle cee, per piacere,  non ce la mettete, nemmeno per far dispetto al Fiippeschi.

Le cicale di Marina di Fabiano Corsini


Le cicale non le voleva nessuno. O quasi. I pescatori le distribuivano tra le cassette del pesce, per farle sgambettare e dare l'idea che tutto il pesce fosse fresco e vivo. L’odore del pesce come si sentiva allora mi torna ogni tanto, una sensazione che dura solo qualche attimo riportandomi indietro a quel tempo. Una sensazione totale.
Quando arrivava il pesce in casa, i gatti impazzivano, diventavano feroci. Del sapore delle cicale, quel sapore di allora, anche io ho perso la memoria. Il gusto non si lascia imbalsamare, e le sensazioni che è capace di dare dipendono soprattutto da chi mangia, dalle emozioni che nel tempo hanno forgiato la sua storia personale.
Levi Strauss, l'antropologo, parla di gustemi, una specie di mattoncini elementari, le cui forme condizionano la costruzione della nostra capacità di sentire i sapori. Un po' quello che gli psicologi intendono con costrutti, o i neurologi con sinapsi .
Insomma... eravamo a quell'epoca troppo puri e ingenui, e davanti alla dolcezza della polpa di una cicala le nostre sensazioni non potevano essere quelle che proviamo oggi. Non conoscevamo i ricchi crostacei nobili, i gamberoni, gli scampi e gli astici.
Ora vediamo e gustiamo le cicale leggendole con il gustema dei nobili carapaciuti. La cicala vive oggi una nuova stagione, ri-scoperta e ri-gustata attraverso l'esperienza dell'aragosta. Un po' come accade al pane nero, al pane integrale, ai pani dei cereali minori, ricercati e ritrovati dopo la saturazione del pane bianco, degli amidi purissimi e dei glutini esasperati. Eccole, le cicale. Da mangiare subito, da assaggiare manipolandole, perché il tatto vuole la sua parte, come l’odorato, e poi ciucciare. No, non c'è un altro modo, e il suono del ciucciare si fonde con tutto il resto a integrare la bellezza di un evento che è olistico: odore, sapore, tatto, suono, aroma, memoria, fantasia...inzaccheriamoci le mani, buchiamoci labbra e gengive, aspettiamo di vedercele arrossare e gonfiare.
Non facciamole aspettare le cicale, perché la loro onestà non gli permette di ingannarci sulla loro freschezza. Lasciata lì, la cicala fa evaporare le sue polpe. Al secondo giorno, non c'è più nulla. Ecco, la cicala e in dissintonia totale con la nostra epoca, dove anche l'effimero è falso. Credi che sia fresco e nuovo, e invece si tratta sempre di minestra riscaldata.


I prodotti di stagione con Michele Gemmi 

        (Dott. in Scienze Ecologiche e della Biodiversità, indirizzo Marino)


LA STAGIONALITA'
Parlare di stagionalità del pesce suona un po’ strano perché la domanda più comune che ci poniamo è: ma in mare il pesce non c’è sempre? Certo che c’è (ormai sempre di meno) e, a differenza della frutta e della verdura, per stagionalità intendiamo il periodo in cui il pesce NON si riproduce. Consumare il pesce non in fase riproduttiva permette invece alle specie che si stanno riproducendo di farlo indisturbate e dando un moto continuo al mantenimento della specie e conseguente delle risorse ittiche. Oggi consumiamo ogni anno il 50% in più di quello che il mare può offrirci. Quindi scegliere il pesce di “ stagione” vuol dire: Pesce più fresco, pesce che non ha viaggiato per molti chilometri e che quindi ha perso molte delle proprie capacità nutritive durante i lunghi spostamenti, pesce più economico perché più abbondante, permettere al mare di “ricaricarsi".

 
1° APRILE: PESCE D'APRILE
 
La primavera in mare
In Toscana la flotta delle imbarcazioni dedite alla pesca è rappresentata da attività artigianali e la tradizione vuole che il 21 Febbraio inizi la primavera in mare, quindi in anticipo di un mese rispetto all’equinozio di primavera.
Perchè il 21 marzo?
I pescatori da sempre descrivono il risveglio del mondo sommerso con un mese di anticipo rispetto alla vita in ambiente terrestre.
Quali specie di pesce locale possiamo trovare in questo periodo al mercato? Che cosa offre il nostro mare?
All'inizio della primavera palamita e saraghi la fanno da padroni.
Ad aprile e maggio spigole, sgombri, sugarelli, lecce, acciughe, triglie e gallinelle dovrebbero essere più abbondanti sui banchi del pesce.

DISCORSI SULL'ACCIUGA 
L'acciuga è simile alla sardina, ma ha un corpo più affusolato e sottile. E' un pesce distribuito in tutto il Mediterraneo, nell'Atlantico e nel Baltico e raggiunge da adulto i 15 - 20 cm di lunghezza. 
Parliamo di acciughe e quindi di pesce azzurro
Le acciughe appartengono alla categoria del pesce azzurro, il dorso è percorso da una striscia azzurra con sfumature verdi, mentre le scaglie delle parti laterali e del ventre sono argentee.  L'alaccia, molto simile all'acciuga, ma meno pregiata, molto spesso è venduta come acciuga. Come riconoscerla? Osserviamo il taglio della bocca: nelle acciughe va oltre la base dell'orecchio, nell'alaccia non raggiunge l'occhio.
L'uso dell'acciuga in cucina e le propietà
L'acciuga è un pesce molto versatile da un punto di vista gastronomico e dalle proprietà organolettiche grandiose. E' molto ricca di proteine e ferro, è quindi un ottimo alimento da inserire nelle diete proteiche. E' ricca di omega 3 e quindi consigliabile per proteggere cuore e arterie, ma non solo, perché contiene anche calcio ed è dunque di sicuro interesse alimentare per chi soffre di osteoporosi.

Una ricetta: acciughe e carciofi
Un piatto pieno di colori e salute.
In questa preparazione le qualità delle carni delle acciughe si sposano con la ricchezza del carciofo, che ha proprietà digestive e diuretiche. L'inulina, presente nel carciofo, fa abbassare i livelli di colesterolo e di acido clorogenico, ottimo antiossidante, in grado di sviluppare un'azione preventiva di patologie cardiovascolari.
o   Pulite i carciofi eliminando le foglie esterne più coriacee, pelare i gambi ed eliminare, se presente, la barbetta. Mantenerli immersi in acqua acidulata con succo di limone fino al momento dell’utilizzo
o   Tritate l’aglio, privandolo dell’anima per aumentare la sua digeribilità, e fatelo soffriggere in un tegame con l’olio
o   Aggiungere i carciofi (dopo averli tolti e asciugati dall’ acqua acidulata) e aggiungere un bicchiere d’acqua
o   Condite con sale e pepe e fate cuocere per circa 30 minuti a fuoco basso
o   Pulite le acciughe eliminando testa, coda e lisca
o   Ungete una teglia con olio e aggiungere le acciughe
o   Ricoprite con i carciofi e infornate il tutto a 180 gradi per circa ¼ d’ora
o   Servite il piatto bene caldo avendo cura di aggiungere prezzemolo e succo di limone

OCCHIO DI TRIGLIA: PESCE DI SCOGLIO O DI SABBIA
La triglia presente nei nostri mari può essere di fango o di scoglio.
Quella di scoglio ha carni più delicate e pregiate, mentre nella triglia di fango, pesce nobile, il sapore dipende molto dalla zona in cui viene pescato (è dettato dalle sue abitudini alimentari). 
Impariamo a riconoscerle. La prima differenza visibile a colpo d’occhio per riconoscere la triglia di scoglio da quella di sabbia (o fango), è dettata dalla colorazione. La triglia di scoglio è rossastra e se freschissima sono evidenti delle sfumature verdi. Mentre nelle triglie di fango il colore può variare dal rosato all’arancio. La seconda differenza riguarda i due barbigli che si trovano sotto il mento. Nella triglia di scoglio sono più lunghi rispetto alle pinne pettorali a differenza della triglia di fango dove sono più corti.
  Le triglie si riproduco tra il mese d’ Aprile e il mese di Giugno. Raggiungono la maturità sessuale a 1 anno di età con una misura che si aggira intorno ai 14 cm di lunghezza, quindi al mercato scegliamo esemplari di queste dimensioni così da garantire un consumo consapevole di questo buonissimo pesce che purtroppo è inserito tra quelle specie, presenti nel Mediterraneo, che sono in overfishing. 
Le carni di questi pesci, semigrasse, sono ottime arrostite al forno o alla griglia, cotte con il pomodoro (alla livornese), in zuppe e, dulcis in fundo, fritte. 
Molto importante è scegliere un prodotto di freschezza certa perché facilmente deperibile. 

La triglia nel piatto: filetti marinati
o   Ingredienti
o   6 - 8 triglie di scoglio
o   1 cucchiaio di timo fresco
o   1 spicchio d'aglio
o   5 cucchiai di olio extravergine d'oliva.
o   4 cucchiai di vino bianco
o   prezzemolo qb
Procedimento
o   Tritare finemente il timo con lo spicchio d'aglio
o   Mettere il trito in un piatto fondo e aggiungere l'olio, il vino e un pizzico di sale, poi immergere i filetti di triglia, precedentemente lavati e asciugati
o   Lasciare i filetti a marinare per 15-20 minuti a temperatura ambiente
o   Togliere i filetti dalla marinatura e sgocciolarli
o   Versare la marinatura in una padella e farla andare a fuoco dolce per alcuni minuti
o   Aggiungere i filetti di triglia e cuocere a fuoco abbastanza vivace da entrambe le parti, bagnandoli spesso con la marinatura
o   Servire bene caldi e guarnire con foglie di prezzemolo. Possiamo accompagnare questo piatto con verdura di stagione (cotta o cruda in pinzimonio)




LE SPECIE D'ESTATE

Ecco le specie che troviamo d'estate: acciuga, aguglia, barracuda, calamaro, muggine, cicerello, dentice, fragolino, gallinella, granchio, lanzardo, mazzancolla ,mormora, occhiata, palamita o palamito, pesce rospo, pesce sciabola, razza, sardina (sarda, sardella), seppia, sgombro, cavalla, ragno, spinarolo, sugarello, tonno alalunga, totano, zerro.
 
Dacci una ricetta
Una ricetta semplice, gustosa e terribilmente ricca. In questi periodi, spesso, la crisi economica non ci permette di utilizzare i cibi, come il pesce, in quantità importanti ecco perché potrebbe essere utile prepararli in modo che il pane possa essere un elemento “saziante”.

Acciughe al pomodoro (d’estate)                                                                 
Per 6 persone :
  • 1Kg di acciughe
  • ½ bicchiere di olio Extra vergine di oliva ( utilizzate quello dei monti pisani che è fantastico)
  • 150 g di pomodori ben maturi
  • Aglio, prezzemolo, sale e pepe
Scottare i pomodorini, sbucciarli, spezzettarli finemente e passarli velocemente sul fuoco dentro una padellina. Pulire le acciughe togliendo testa e interiora e con delicatezza, eliminare la lisca centrale lasciandole unite sul dorso e aprirle a libro. Lavarle e asciugarle. Scaldare il forno a 160 °C. Mondare e tritare il prezzemolo e lo spicchio d’aglio e mescolarli insieme. Ungere una larga teglia da forno, disporvi le alici a raggiera con la coda al centro. Cospargerla di salsa di pomodori, unire il trito di prezzemolo e aglio e l’olio d’oliva. Metterle in forno per 10’ minuti ed il piatto è pronto. E poi tagliate una bella fetta di pane, magari fatto con lievito madre e farina scura. Accompagnate un boccone di acciughe con un morso di quella fetta di pane che avete preparato, assaporate e sentirete tutti i sapori della nostra terra. Se poi tutto questo avviene sotto i pini e con le cicale di sottofondo, potete sicuramente dire di aver mangiato: d’estate. Dimenticavo, potete bere vino bianco o rosso, l’importane è che per voi si accompagni bene. 


           IL PESCE D'AUTUNNO

Anche se l’autunno non sembra voler arrivare siano a novembre... autunno inoltrato.
Come spesso abbiamo raccontato la stagionalità non è solo per le verdure.
La stagionalità riguarda anche nel pesce, perché il mare vive un equilibrio dinamico che varia in concomitanza delle stagioni, variando correnti, temperature e risorse.
E' quindi scontato che variano anche le specie che possiamo trovare in PESCHERIA, al MERCATO e meglio ancora dai PESCATORI.
Come sempre cercate di scegliere il pescato del mediterraneo, che è indicato con la zona FAO 37. 

I Pesci che possiamo trovare in questo periodo: Tonno alalunga - Acciuga - Calamaro Cefalo, Cicale, Pagello, Fragolino, Gallinella, Leccia, Manzaccolla, Menola, Mormora, Nasello, Occhiata, Ombrina, Passera, Potassolo , Rombo chiodato, Sardine, Seppie, Sgombro, Spigole, Zerri

Con le temperature che calano, la pioggia, le giornate più corte e poco sole abbiamo voglia di un cibo che tenda a riscaldarci.
            Quindi scegliamo due ricette che siano “capaci” di raccontare quanto scritto sopra.

 
            Zerri Sotto Pesto I
Ingredienti per 4 persone
            1 Kg di zerri, pulirli, infarinarli e friggerli (in olio EVO)
 ½ Litro di aceto di vino bianco
3 o 4 spicchi d’aglio
1 peperoncino intero
½ bicchiere di olio EVO
Sale q.b.

Dopo aver fritto gli Zerri, dobbiamo metterli in carta assorbenti (per eliminare l’olio di troppo) e salarli. Fare imbiondire l’aglio in olio di oliva e il peperoncino ben tritati. Dopo aver fatto prendere un po’ di colore aggiungere l’aceto, portare a ebollizione e spengere. Prendendo una terrina, disponete gli Zerri in modo da fare degli strati. Cospargete con la marinatura di aceto e lasciateli a r iposo per 6/7 ore. Io accompagno molto volentieri questo piatto con un vino rosso giovane e la polenta fritta o arrosto.


            Seppie alla cacciatora
Ingredienti per 4 persone:
8 seppie medie
4 filetti di acciughe sotto sale
2 foglie di alloro
¾ spicchi d’aglio
2 rametti di “tramerino”
½ litro di Vino bianco
1 cucchiaio di aceto bianco
Olio EVO, sale e peperoncino
           
       Incominciamo con il pulire le seppie e tagliare a strisce di circa 1cm. Mettere l’olio nella padella con l’aglio, peperoncino q.b. e fare rosolare. Togliere l’aglio e mettere i filetti di acciughe e farle sciogliere. A questo punto aggiungere le seppie, l’alloro e rosmarino. Dopo aver fatto rosolare per 5 minuti aggiungere il vino e portare a cottura le seppie. A questo punto aggiungere l’ aceto, coprire la padella e fare andare per 30 secondi a fuoco vivace. Io aggiungerei anche una ( o anche più di una) fettunta, magari con l’olio nuovo dei monti Pisani. 

        


Libri di gusto... (in ordine alfabetico)